NELLA COSTITUZIONE
LA RISPOSTA AI NOSTRI MAGGIORI PROBLEMI
IMPARIAMO A CONOSCERLA
Schema tratto dal libro di Federico Del Giudice, Costituzione esplicata, 2013, ed. Simone.
Nella
Costituzione si trova la soluzione ai nostri maggiori problemi. Basta
applicarla.
“Le difficoltà in cui ci troviamo non derivano
dalla Costituzione, ma dall'ignoranza, dal maltrattamento, dall'abuso, talora
dalla violazione che di essa si sono fatti. Eppure lí si trova la risposta ai
nostri maggiori problemi.
Il
lavoro come diritto e fondamento della vita sociale, e non la rendita
finanziaria e speculativa; l’uguaglianza di fronte alla legge e non i
privilegi, per proteggere i deboli e combattere le mafie d’ogni natura;
l’impegno a promuovere politiche di equità sociale e fiscale e non
l’autorizzazione a gravare sui più deboli per risolvere i problemi dei più
forti; la garanzia dei servizi sociali e non la volontà di ridurli o
sopprimerli; la salute come diritto e non come privilegio; l’istruzione
attraverso la scuola pubblica aperta a tutti e non i favoritismi alla scuola
privata; la cultura, i beni culturali, la natura come patrimonio a
disposizione di tutti, sottratti agli interessi politici e alla speculazione
privata» (ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky).
Semplicemente
applicando la Costituzione, quella Costituzione a cui hanno giurato fedeltà Presidenti,
Ministri e Sindaci, si potrebbero risolvere i maggiori problemi odierni.
Ma
di questo noi non ne siamo consapevoli. Perché tutti, oggi, parlano di Costituzione,
ma nessuno dei suoi contenuti o, quando ne parlano, li stravolgono, chi per
ignoranza, chi in mala fede.
E, dunque,
parliamo dei contenuti della Costituzione, e vediamo quali problemi potrebbero
essere risolti prendendone in esame anche solo pochi articoli.
FINANZA SPECULATIVA
Sicuramente
uno dei problemi più impellenti del nostro Paese è quello della finanza
speculativa. Non si investe più in economia reale, ma si gioca d’azzardo.
Oggi le banche, infatti, non
investono nell'economia reale, cioè in attività produttive, ma speculano, cioè
giocano d’azzardo con il soldi dei risparmiatori. Se vincono, intascano la
vincita; se perdono, chiedono agli Stati, e quindi ai cittadini, di coprire le
loro perdite.
Oggi l’accumulo
del debito pubblico è aggravato dal debito di banche. Debito che viene
ripianato dagli interventi degli Stati, cioè da noi cittadini. Le cifre sono
enormi, secondo i dati di Bankitalia, a fine 2011, il 37% del PIL in Europa era
stato usato per ripianare i debiti delle banche.
Come
è stato possibile ciò? Grazie ad una scellerata legge del 1999, la
Gramm-Bliley Act, che ha sciolto il vincolo posto, nel 1933, da Presidente
americano Roosevelt con la legge denominata Glass - Steagall Act.
Questa legge venne
adottata dal governo Roosevelt per porre un freno alla speculazione finanziaria
che aveva portato al tragico crollo della borsa del '29, alla c.d. Grande Depressione.
I fatti che
avevano generato la Grande Depressione, infatti, erano legati anche all'eccesso
di attività speculativa che aveva la finanza sopra l’economia reale erodendo i
risparmi dei correntisti. Come? Esattamente come avviene oggi, le banche
giocavano d’azzardo con i soldi dei risparmiatori.
Per porre un freno
a questa attività speculativa la legge prevedeva, quindi, una netta separazione
tra banche d’affari e gli istituti di credito tradizionali.
Nel 1999 la Glass - Steagall Act venne abolita e sostituita “Gramm-Bliley Act”, che ricrea le stesse condizioni
che avevano portato alla Grande Depressione degli anni trenta del secolo scorso,
cioè, non prevedendo più la netta separazione tra banche d’affari e istituti di
credito, permette alla banche di poter nuovamente giocare d’azzardo con i soldi
dei risparmiatori.
Si riaprono,
insomma, le porte, anche in campo finanziario, all'avidità, alla cupidigia, a
quel liberismo sfrenato che fa vincere i più forti, non i migliori. Un liberismo
senza regole, senza controlli, che giustifica e normalizza i comportamenti
illeciti... Ed il risultato di tutto ciò è sempre una marcia verso l'inferno.
I nostri Padri
costituenti, ricordando ancora bene cosa avesse creato la Grande Depressione,
posero, quindi, nella nostra Carta fondamentale, delle precise tutele a che
questa follia non si potesse più realizzare.
Cosa vuol dire
questo? Vuol dire che la finanza speculativa è incostituzionale e, i suoi
problemi, possono essere risolti applicando semplicemente 3 articoli della
Costituzione, e precisamente, l’art. 1, 41 e 47 (come insegna Salvatore
Settis, ex Rettore della Scuola Normale di Pisa).
Vediamo come.
Articolo 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata
sul lavoro
La sovranità appartiene al
popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Articolo 41. L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali. (Principio di utilità
sociale dell’impresa)
Articolo 47. La
Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina,
coordina e controlla l'esercizio del credito.
Favorisce
l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà
diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi
complessi produttivi del Paese.
Cosa vuol dire che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro? Vuol dire che la Costituzione impone a tutti di lavorare.
In ambito
finanziario l’art. 1, letto insieme all'art. 41 (che dice che l'attività
privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale), significa, in parole povere,
che chi ha dei capitali ha anche l’obbligo di investirli nell'economia reale,
in attività produttive, in modo che perseguano una utilità sociale, siano cioè
in qualche modo utili a tutti, non solo giocarli d’azzardo, in borsa o con
mezzi speculativi.
I capitali non investiti nell'economia reale, ma giocati d’azzardo, provocano l’instabilità economica che si riflette,
ineluttabilmente, sul lavoro delle imprese e, quindi, sull'occupazione.
Sin dal primo
articolo della nostra Costituzione, cioè, i nostri Padri costituenti, memori di
quelle attività che avevano portato alla Grande Depressione, e che erano state
la concausa della seconda guerra mondiale, vollero porre un preciso limite
alle attività speculative e, come vedremo poi, alle rendite c.d. parassitarie.
E chi è che deve controllare che questo avvenga?
E chi è che deve controllare che questo avvenga?
Ce lo dice l’art. 47 della
Costituzione: è lo Stato. È lo Stato che deve controllare e regolamentare
l’attività bancaria.
Uno Stato che non solo non controlla l’esercizio del
credito, lasciando alle banche l’iniziativa, ma emette leggi che agevolino
questa follia, viola l’art. 47 della Costituzione.
Da un punto di vista giuridico, non v’è alcun dubbio che le «negoziazioni»
poste in essere dalla speculazione finanziaria, essendo chiaramente in
contrasto con l’utilità sociale, e producendo danni alla sicurezza, alla
libertà e alla dignità umana, di cui parla il citato art. 41 della
Costituzione, hanno una «causa illecita» e pertanto sono affetti da «nullità
assoluta», cioè come non fossero mai stati stipulati. Nullità assoluta che può
esser fatta valere da chiunque vi abbia
interesse senza limiti di tempo (Paolo Maddalena)
Tutte queste negoziazioni sono, cioè, nulle.
Tutte queste negoziazioni sono, cioè, nulle.
La conseguenza, di non poco conto, è che anche i ben noti «giudizi dei
mercati» non hanno alcun valore giuridico e che, di conseguenza, sono privi di
significato anche gli spread di cui tanto si parla.
Per fermare questo massacro non serve a niente che i nostri governanti
facciano incontri di vertice, dichiarazioni mirabolanti sui giornali o altro,
sarebbe sufficiente attuassero la Costituzione.
La Costituzione è chiara. Lo sviluppo
dell’Italia deve essere fondato sul lavoro, il risparmio e l’investimento nelle
attività produttive. Non sulla speculazione finanziaria, non sulla scommessa.
Tutto ciò è incostituzionale. Non ha tutela giuridica. I debiti così contratti
non esistono e, dunque, non devono essere pagati... se solo si applicasse il
diritto.
Se solo si applicasse il diritto, il
problema dell’enorme debito che ci dicono gravi sull'Italia, e per cui si
tagliano i servizi essenziali ai cittadini, non esisterebbe. Meglio. Secondo il
diritto questo problema proprio non c’è, perché queste negoziazioni sono nulle,
cioè mai venute ad esistenza.
RENDITA PARASSITARIA
Ma,
lasciamo ora la finanza, e passiamo ad un altro problema che riguarda il nostro
paese, ossia la proprietà.
Infatti,
non è solo l’accentramento della ricchezza in denaro il problema che attanaglia
il nostro Paese ma, come conseguenza di questa, anche l’accentramento dei beni
in mano a pochi in danno dei più.
È
sotto gli occhi di tutti come l’avidità individuale abbia spinto
all'accaparramento dei beni, alla sopraffazione dei deboli, alla
diseguaglianza, alla miseria generalizzata.
La
cupidigia umana, ha provocato un progressivo impoverimento di molti, e un
altrettanto progressivo arricchimento di pochi. (Sono quelli che Luís
Sepúlveda, grande scrittore cileno, ha definito «quel miserabile 1%
dell’umanità che si è appropriato del 99% della ricchezza del pianeta, e che
viene eufemisticamente chiamato “Mercato”») (Salvatore Settis)
E
guardate che il problema dell’accentramento della ricchezza in mano a pochi,
come rischio per l’esistenza stessa di una società democratica, non è nuovo.
Era
già stato evidenziato da Platone nel IV secolo a.C., che aveva collegato la
limitazione degli eccessi di ricchezza e la solidità del vincolo politico tra i
cittadini; o da Aristotele, che aveva precisato che è più la ricchezza dei
governanti, che il loro numero, a segnare il confine tra oligarchia e
democrazia. (Paolo Maddalena)
Ed,
invece, negli ultimi anni, la cupidigia di molti ha portato, ad esempio, al
rinascere dei latifondo a scapito della piccola proprietà privata.
Con la nascita del
latifondo i proprietari terrieri acquistato centinaia e centinaia di ettari di
terra che sfruttano con monoculture intensive, inondandole di veleni che
inquinano le acque.
E’
legittimo tutto questo? NO.
Ci
si può difendere da tutto questo? Certo! Come? Ancora una volta semplicemente
applicando la Costituzione, come insegna Paolo Maddalena (Presidente emerito
della Corte Costituzionale).
Vediamo
con quali articoli.
Articolo 42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad
enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che
ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di
assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a
tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo
indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e
testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità. Principio di utilità
sociale della proprietà. (Principio di funzione sociale della proprietà).
Articolo 44: Al fine di conseguire il
razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge
impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla
sua estensione
secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle
terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità
produttive; aiuta la piccola e la media proprietà.
La legge
dispone provvedimenti a favore delle zone montane.
In questi articoli, rivolti alla
funzione sociale della proprietà ed alla proprietà terriera, appare chiaro come
il Costituente veda nella piccola e media proprietà la chiave di volta dello
sviluppo agricolo ritenendo, giustamente, che il latifondo e la grande
proprietà non garantiscono affatto la migliore coltivazione dei terreni.
C’è, in questo articolo, anche il
richiamo implicito al fatto che la distribuzione tra il maggior numero
possibile di coltivatori di piccoli e medi appezzamenti di terreno, non
inferiori, comunque alla minima unità produttiva, costituisce di per sé il
perseguimento di una funzione sociale: quella di distribuire la ricchezza tra
più fruitori, fermo restando, anche per questi ultimi, l’obbligo di concorrere,
per quanto possibile, alla ricchezza e al benessere nazionale attraverso il
loro costante lavoro.
Questo perché da sempre
è ben noto che motore dello sviluppo economico non è affatto l’accentramento,
ma la redistribuzione della ricchezza, la quale consente la continuità della
domanda, che sollecita l’offerta, la quale, a sua volta, produce beni reali e
sicuro assorbimento delle forze lavorative esistenti. (Paolo Maddalena)
Attenzione, in queste norme non c’è una
demonizzazione del latifondo, a patto, però, che persegua la funzione sociale.
Il problema, oggi,
è che le terre sono acquistate dai latifondisti che le sfruttano con
monoculture intensive, quasi completamente meccanizzate, inondando i terreni
con pesticidi e diserbanti, e così
inquinando l’ambiente.
Facciamo un altro
esempio.
Un altro problema
del nostro paese è l’abbandono delle terre.
Attenzione, perché
la difesa dei suoli agricoli è un tema di grande rilevanza. Difendere i suoli
agricoli vuol dire, infatti, tutelare il paesaggio (art. 9 Cost), vuol dire proteggere
e promuovere la produzione di cibo di qualità e, quindi, vuol dire difendere la
salute (art. 32 Cost.). Infatti, nulla difende il paesaggio e l’ambiente, e
quindi la salute, quanto un’agricoltura di qualità. Ma di più, la promozione
dell’agricoltura di qualità ha un enorme
potenziale economico, proprio nel rispetto del diritto al lavoro (art. 4
Cost.) (Salvatore Settis)
La proprietà
privata è riconosciuta e tutelata in quanto riesce ad assicurare dei beni stessi
la funzione sociale. Dunque,
un terreno agricolo non può restare abbandonato, cioè avulso dal suo
fine fondamentale di perseguire la sua funzione sociale senza limiti di
tempo. (Paolo Maddalena)
Se la proprietà
non svolge la sua funzione sociale, la legge «non riconosce né garantisce» il
diritto di proprietà privata e, l’ex proprietario, non ha più alcuna
possibilità giuridica di farlo valere.
Ovviamente, anche
qui, non stiamo parlando della piccola proprietà privata, che esaurisce la sua
funzione nel soddisfacimento di bisogni individuali del singolo. Lo sfavore
della costituzione, come abbiano visto, è per il latifondo che persegue un fine
egoistico e non una funzione sociale, o per le
altre forme di accentramento della ricchezza e, al contrario, favorisce la
piccola e media proprietà, costituita dalle unità produttive, dalla prima
abitazione, dalla proprietà coltivatrice diretta. Quindi, stiamo parlando qui della
«grande proprietà privata», che può, e deve, essere produttiva di molteplici
«utilità sociali».
Come risolvere
questo problema? anche qui semplicemente applicando la Costituzione.
Facciamo
un esempio.
Nel caso di terreni abbandonati il Sindaco del Comune
interessato può diffidare il proprietario a riattivare, entro un congruo
termine, la funzione sociale del suo bene. Se il termine scade inutilmente, non
ci sono più ostacoli alla dichiarazione di cessazione del diritto di
proprietà privata, e alla conseguente acquisizione del bene stesso al
patrimonio comunale.
Il problema dei terreni abbandonati è stato, ad
esempio, affrontato dalla Regione Toscana con il Regolamento approvato il 29
ottobre 2013 per il recupero dei terreni incolti e abbandonati. Cosa prevede
questo Regolamento? Che i terreni incolti possano essere assegnati agli
interessati che presentano uno specifico piano di sviluppo. Al proprietario del
fondo spetta un canone, determinato dall’Ente Terre di Toscana. (Paolo
Maddalena)
In altri termini: non lo vuoi o non lo
puoi coltivare? Nessun problema, lo assegno a chi vuole coltivarlo e determino
io il canone che ti spetta.
Altro problema: la chiusura o la
delocalizzazione degli stabilimenti industriali, ovvero l’immobilizzo di grandi
costruzioni edili. (Paolo Maddalena)
Anche queste
situazioni non possono avere tutela giuridica. Il motivo sempre lo stesso. Il
mancato perseguimento della «funzione sociale» deve necessariamente avere un
effetto risolutivo della tutela giuridica accordata.
Facciamo, anche
qui, un esempio.
Il proprietario di
un’industria che, per ottenere maggiori profitti, licenzia gli operai,
trasferisce la sua attività in un altro Stato e abbandona gli immobili
destinati all'attività industriale, non può certo pretendere, in un secondo
momento, un mutamento della destinazione urbanistica di quella zona per potervi
costruire, ad esempio, un albergo, in nome del suo diritto di proprietà
sull'immobile di cui si discute.
Si deve infatti
ritenere che l’aver agito, non per perseguire il fine della «funzione sociale»
del bene, ma per un fine utilitaristico individuale, compiendo un’attività
platealmente antisociale, come quella del licenziamento degli operai, cui abbia
fatto seguito l’abbandono dell’immobile stesso, abbia reciso all'origine il
diritto di proprietà su detto immobile. (Paolo Maddalena)
Insomma, la
distruzione del nostro territorio, l’accaparramento della ricchezza da parte di
pochi, può essere evitata facendo valere l’inesistenza di diritti che
perseguono una funzione antisociale (principio
della funzione sociale della proprietà privata), o la nullità assoluta di
contratti con «causa illecita», aventi anch'essi un chiaro contenuto
antisociale (principio dell’utilità
sociale dell’attività privata).
Questo perché i diritti
inviolabili di tutti sono superiori al diritto del privato, del singolo. Invece noi, paradossalmente, riteniamo
il diritto del privato, del singolo, «prevalente» sul «diritto inviolabile» di
tutti.
In tema di diritti, insomma, siamo
tornati indietro di secoli.
Possiamo citare la costituzione apostolica Quae publice
utilia et decora di Gregorio XIII (1574), che sottopose a rigoroso
controllo l’attività edilizia privata proclamando, sin dalle prime righe,
l’assoluta priorità del bene e del decoro pubblico sull'avidità (cupiditates)
e sui profitti (commoda) dei privati. (Salvatore Settis)
O ancora Roosevelt, che in un suo
discorso al Congresso, del 29 aprile 1938, affermò:
«Eventi infelici
accaduti in altri paesi ci hanno insegnato da capo due semplici verità in
merito alla libertà di un popolo democratico. La prima verità è che la libertà
di una democrazia non è salda se il popolo tollera la crescita di un potere
privato al punto che esso diventa più forte dello stesso Stato democratico […].
La seconda verità è che la libertà di una democrazia non è salda se il suo
sistema economico non fornisce occupazione e non produce e distribuisce beni in
modo tale da sostenere un modello di vita accettabile».
Ed infatti la Grande Depressione fu
causata da un lato, come abbiamo visto, dall'attività speculativa delle banche
e, dall'altro, dalla cupidigia dei privati che si accaparravano i beni.
Esattamente quello che sta succedendo oggi.
Ecco perché la nostra Costituzione
prevede specifiche tutele a queste due piaghe dell’umanità: l'attività
speculativa e la rendita parassitaria.
Piaghe dell’umanità perché, come si è visto,
da secoli si sa che queste attività portano solo distruzione e morte. Ma noi
abbiamo la memoria corta.
E qui sfatiamo un’altra favola che
gira, ossia che le norme comunitarie, anche se contrastano con la Costituzione, debbano
prevalere. Non è così.
Le norme
internazionali ed europee sono possono trovare ingresso nel nostro ordinamento solo se
compatibili con la Costituzione. Le sentenze in questo senso sono
numerosissime da decenni. Ne citiamo due per tutte.
Corte
Costituzionale:
Sentenza 1146/1988: “le regole comunitarie…
non possono stravolgere le basi dell’ordinamento italiano”.
Sentenza n.
238/2014: “non v’è dubbio, infatti, ed è
stato confermato a più riprese da questa Corte, che i princìpi fondamentali
dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona
costituiscano un limite all'ingresso […] delle norme internazionali
generalmente riconosciute alle quali
l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’articolo 10, primo comma
della Costituzione» (sentenze n. 48
del 1979 e n. 73 del 2001) e operino
quali “controlimiti” all'ingresso delle norme dell’Unione europea (ex
plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168
del 1991, n. 284 del 2007).
Ma tutte le Corti,
che sia di Cassazione, che sia Costituzionale, che sia consiglio di Stato, sono
unanimi nel dire che i diritti fondamentali non si possono toccare.
Nessuna
legge, né nazionale, né internazionale, né comunitaria può intaccare i diritti
fondamentali stabiliti in Costituzione.
Ed, invece, il
nostro Legislatore quotidianamente emana leggi che violano questi diritti. E le Corti
continuano ad emettere sentenze che ne dichiarano l’incostituzionalità.
E che dire di
quell'abominio dell’art. 81 della nostra Costituzione sul pareggio di bilancio?
Iniziamo subito
con il dire che l’art. 81 non fa parte della nostra Costituzione, nel senso che
è estraneo alla sua logica interna e all'idea di
società condivisa dai nostri Costituenti. Si pone, cioè, fuori da
quel progetto di tutela e sviluppo della Nazione deciso dai nostri padri
costituenti. (Vladimiro Giacchè)
Una follia, quella
del pareggio di bilancio, denunciata quasi quotidianamente perché è:
«abnorme e inaccettabile che il principio del
pareggio di bilancio debba prevalere su ogni diritto dei cittadini
costituzionalmente garantito» (ex presidente della Corte dei
Conti, Manin Carabba).
Perché "i diritti di contenuto economico e
finanziario, posti a salvaguardia dell’integrità dei bilanci pubblici, non
possono incidere sui diritti fondamentali della persona".
Questo, in
sintesi, ci dicono numerosissime sentenze che negli ultimi anni hanno attaccato
il pareggio di bilancio e le leggi che ne danno attuazione.
Cioè, per entrare
nel concreto e parlare di un problema che ci riguarda da vicino: le leggi che
impongono dei tagli assurdi alla sanità, facendo leva sul pareggio di bilancio,
sono incostituzionali perché portano ad una inaccettabile compressione di un
diritto fondamentale dei cittadini. Basta
leggere l’art. 32 della Costituzione che si conclude con l’espressione: «la
legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana». Qui il riferimento diretto alla «persona» implica,
ovviamente, il riferimento alla «dignità della persona», diritto inviolabile.
Che la follia del
pareggio di bilancio non possa incidere sui diritti fondamentali dei cittadini
è ribadito in continuazione.
Potrei
citarvi sentenze per pagine e pagine, ma qui basti citare una sentenza della
Corte costituzionale che ha dichiarato l'incostituzionalità di una legge di
cui, più o meno, almeno per nome, abbiamo sentito parlare tutti: la c.d. Salva
Italia.
Nella sentenza n. 70/2015 la Corte
Costituzionale scrive: «i
lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle
loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria»; ed ancora: «Il lavoratore ha diritto a una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni
caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e
dignitosa».
Qui si
parla di retribuzione (art. 36 Cost), di pensioni (art. 38 Cost). Non puoi
intaccare questi diritti costituzionalmente garantiti con motivazioni di
pareggio di bilancio. È incostituzionale.
Ed, invece, ora,
siamo presi dalla follia di calcolare costi-benefici per tutto, di dare un
prezzo a tutto... che spesso, poi,
proprio perché stabilito da questo mostro senza testa che è il Mercato, è un
prezzo infimo ed indegno.
Tutto
ciò non solo è folle ma, già successo in passato, ha prodotto solo distruzione
e morte.
Torniamo alle cause della Grande
Depressione del secolo scorso di cui abbiamo già parlato. Anche in quel periodo
i privati, senza controllo, gli speculatori, prezzavano tutto perché affetti
da quello che, un grande economista dell’epoca, Keynes, definì “incubo
contabile”.
Leggiamo le parole di Keynes:
“la regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni aspetto della
vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore
economico. Saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci dànno
alcun dividendo”.
Questa
follia, questo incubo contabile, portò alla disperazione ed alla fame un intero
continente, l’Europa.
Disperazione
e fame che vennero abilmente sfruttate da fanatici irresponsabili per giungere
al potere. Fanatici irresponsabili che, fate attenzione, in ogni epoca: È sempre dal caos che traggono la propria
legittimità, e tutti
fanno leva sulle
stesse corde psico-affettive
(paura-risentimenti-frustrazione).
Tutto
ciò portò l'Europa alla seconda guerra mondiale, finale tragico assolutamente
previsto da Keynes, che scrisse in ordine alla situazione politica del tempo: “Vi sono altri argomenti,
che anche il più ottuso non può ignorare, contro una politica che tenda ad allargare e ad incoraggiare ancor più la rovina economica
di grandi paesi... Se noi miriamo
deliberatamente all’impoverimento
dell’Europa centrale, la vendetta, oso predire, non tarderà”.
E
la vendetta arrivò, e fu tragica.
Ecco
perché i nostri Padri costituenti, memori di ciò, hanno posto limiti precisi alla finanza speculativa ed alla rendita parassitaria, per impedire che le cause
che avevano trascinato l’Europa nell'inferno non si potessero più ricreare.
Ma
noi, ripeto, abbiamo la memoria corta, e l’irresponsabilità pare farla da
padroni nel nostro tempo.
Abbiamo
visto come le Corti italiane stiano cercando di porre un freno a questo “incubo
contabile” di cui sembrano essere affetti i nostri governanti, e che massacra i
nostri diritti fondamentali, una situazione così tragica da essere stata
definita dallo stesso Presidente della BCE, Mario Draghi, una "macelleria
sociale".
Altro problema che
attanaglia il nostro paese è la cessione ai privati di servizi pubblici
essenziali (acqua, elettricità, trasporti, ecc.). Le conseguenze di queste
privatizzazioni le conosciamo tutti, aumento delle tariffe senza miglioramento
dei servizi.
Bene. Leggiamo
l’art. 43 della Costituzione che recita:
Articolo 43. A fini di utilità generale la
legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e
salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di
utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a
servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed
abbiano carattere di preminente interesse generale.
Come ci ricorda
Paolo Maddalena, questo articolo
prescrive la nazionalizzazione
di imprese, o intere categorie di imprese, «che
si riferiscano a servizi pubblici essenziali, o a fonti di energia, o a
situazione di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale»,
non la privatizzazione.
Perché è proprio l’idea di
privatizzare i servizi pubblici essenziali e i beni pubblici ad essere
logicamente sbagliata e insostenibile, come ben sapevano i nostri Padri
costituenti, perché privatizzare significa il
trasferimento della ricchezza dalle mani di tutti alle mani di pochi. E
privatizzare le reti strategiche di un paese è una follia ancora più grande
perché chi ha in mano le reti ha in mano il potere, un potere superiore ai
Governi, ai Parlamenti, a qualsiasi cosa. (Paolo Maddalena)
Avendo in mano le
reti dell’acqua, dell’energia, del trasporto si può mettere in ginocchio un
paese nel giro di pochi giorni. Dei privati, delle multinazionali, possono
mettere in ginocchio un paese a dispetto di tutto e di tutti.
E’ una follia. Chiamiamola con il suo nome.
Una follia che i
nostri Padri costituenti volevano evitare ponendo chiare norme
costituzionali a difesa dell’utilità di tutti contro la cupidigia di pochi.
E applichiamola
questa Costituzione, non facciamocela strappare, stravolgere.
Perché la
«strategia costituzionale» di sviluppo e tutela del nostro territorio è
perfetta: nazionalizzazione delle fonti di energia e dei servizi pubblici
essenziali da un lato, e pieno impiego delle risorse naturali e umane
dall'altro lato, per raggiungere il benessere di tutti. (Paolo Maddalena)
ATTIVITÀ' SPECULATIVA E TUTELA DEL TERRITORIO
E
che dire dell’attacco al territorio, all'ambiente ed al paesaggio che viene
fatto grazie alle attività speculative?
Perché è qui che si accaniscono le
peggiori cupidigie. Distruggono ambiente, paesaggio, territorio e,
conseguentemente salute, con trivelle, inceneritori, impianti geotermici, ecc.
E noi della zona lo sappiamo bene.
Anche
qui, come insegna Paolo Maddalena, per difenderci, basta applicare l’art. 9.
della Costituzione, con la conseguenza che tutti conosciamo ormai, la nullità
assoluta di tutti i contratti.
Una
piccola, ma importante, annotazione. Noi siamo stati il primo Paese al mondo a
porre la tutela del territorio e del patrimonio artistico culturale tra i
diritti fondamentali.
E
sapete perché? L’art. 9 della nostra Costituzione risponde ad una invocazione
del 1519 di Raffaello.
Nel
1519 Raffaello e Baldassarre Castiglione offrirono al Papa i risultati dei
rilievi dell’artista sulle antichità di Roma, e li accompagnarono con una
lettera che contiene un passaggio capitale della storia della tutela:
Essendo io stato assai studioso di queste
antiquità e avendo posto non picciola cura in cercarle minutamente e misurarle
con diligenza, e, leggendo i buoni autori, confrontare l’opere con le
scritture, penso di aver conseguito qualche notizia dell’architettura antica.
Il che in un punto mi dà grandissimo piacere, per la
cognizione di cosa tanto eccellente, e grandissimo dolore, vedendo quasi il cadavere di quella nobil patria, che è stata regina
del mondo, così miseramente lacerato.
Ma perché ci doleremo noi de’ Goti, Vandali e d’altri tali
perfidi nemici, se quelli li quali come padri e tutori dovevano difender queste
povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno lungamente atteso a distruggerle?
Quanti Pontefici, hanno atteso a ruinare templi antichi, statue, archi e altri
edifici gloriosi!
Non
deve adunque, Padre Santissimo, essere tra gli ultimi pensieri di Vostra
Santità lo aver cura che quel poco che resta di questa antica madre della
gloria e della fama italiane, per testimonio del valore e
della virtú di quegli animi divini, che pur talor con la loro memoria eccitano
alla virtú gli spiriti che oggidí sono tra noi, non sia estirpato, e guasto
dalli maligni e ignoranti.
In tutta la letteratura artistica italiana non esiste, forse, un testo altrettanto alto, e altrettanto carico di futuro.
Il cadavere, a
cui (con una metafora atrocemente attuale) Raffaello paragona il patrimonio, è
il cadavere della «patria». E quella patria a cui fa riferimento Raffaello, già
nel 1500, non è la Roma dei Papi, la Firenze culla dell’arte rinata, la Urbino
di Raffaello, no, è l’Italia: «madre della gloria e della fama italiane».
E le pubbliche autorità devono essere invitate, ed oggi con l’art. 9 obbligate,
a curarsi del patrimonio: «non deve adunque […] essere tra gli ultimi pensieri
di Vostra Santità…».
Qui vi è già
tutta la consapevolezza dell’importanza e della necessità di tutelare l’immenso
patrimonio italiano. Principi che i nostri Padri costituenti hanno fissato nell'art. 9 della Costituzione. (Tommaso Montanari)
Pensate alla
grandezza di tutto ciò.
Ed, invece,
noi oggi non solo non tuteliamo il nostro territorio e patrimonio storico e
culturale, ma lo massacriamo credendo alla menzogna che la rinascita del nostro
paese debba passare
attraverso queste attività speculative (trivellazioni, impianti geotermici,
inceneritori, ecc..), o attraverso la continua cementificazione del nostro
territorio.
Non
è così. Questa è la morte del paese, non la sua rinascita.
Ed anche qui, come non
ricordare che una cosa simile era già successa negli anni della Grande
Depressione, e ferocemente denunciata, ancora una volta da Keynes, con queste
parole:
“Invece di utilizzare l’immenso incremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, si creano i bassi fondi; e si pensò che fosse giusto e ragionevole farlo perché questi,
secondo il criterio
dell’impresa privata, «fruttavano», mentre la città delle meraviglie sarebbe stata, si pensava, un atto di follia che avrebbe, nell'imbecille linguaggio finanziario, “ipotecato il futuro”. Ma nessuno può credere oggi che l’edificazione di grandi e belle opere possa impoverire il futuro, a meno che non sia ossessionato dalle false ideologie tratte da una astratta mentalità contabile... È la concezione del Cancelliere dello Scacchiere come presidente di una sorta di società
per azioni che deve essere abbandonata”.
Ed invece no, l’Italia
si è trasformata in un Spa, ossessionata, per riprendere ancora una volta le parole di Keynes, “dalle false ideologie tratte da una astratta mentalità contabile”.
COSA DOBBIAMO FARE
Bene,
ed ora che conosciamo i nostri diritti, di come vengano quotidianamente
violati, una domanda, assolutamente legittima, sorge spontanea: che cosa può fare
il cittadino per contrastare, armato di questi principi, il degrado che ci
assedia?
Moltissimo. Ma non
solo può fare, ha il dovere di fare.
Sino ad ora
abbiamo parlato dei diritti che ci riconosce la Costituzione, ma abbiamo anche dei doveri sanciti dalla costituzione.
Uno di questi, il
più importante, è stabilito dall'art. 52 della Costituzione che recita:
«La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino».
Ma, attenzione,
perché tale dovere riguarda non solo la difesa del territorio da azioni di
guerra, ma anche la sua difesa da azioni distruttive portate a compimento da
altri soggetti. (Paolo Maddalena)
Stabilito questo,
come farlo?
Diciamo subito che
la cosa peggiore che si possa fare è pensare ad azioni illegali e violente.
È la cosa peggiore
perché, quando si scende sul terreno della violenza, si perde sempre. Ma, poi,
non è necessario, perché la Costituzione ci mette a disposizione gli strumenti per
difenderci.
Ed
allora vediamo quali strumenti abbiamo per difendere la nostra vita e il nostro
territorio.
La
Costituzione, infatti, ci riconosce i diritti di «partecipazione» effettiva sia
alla funzione legislativa, sia all'azione amministrativa dei pubblici poteri,
sia all'azione giudiziaria.
Per quanto
riguarda l’azione legislativa, basti pensare al potere di iniziativa popolare
per l’approvazione di leggi, nonché il potere di proporre e approvare i
referendum abrogativi di leggi esistenti.
Il principio della
«partecipazione» di tutti i cittadini all'attività di carattere amministrativo
è sancito a chiare lettere dall'art. 118 Cost. che afferma: «Stato, Regioni, Città metropolitane,
Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del
principio della sussidiarietà».
Per quanto
concerne l'azione giudiziaria c’è l’azione popolare, cioè il diritto, per ogni
cittadino, di poter agire in giudizio per tutelare un interesse generale,
collettivo (da non confondere con la class action che è cosa diversa).
Come insegna Paolo
Maddalena, l’azione popolare è il diritto e dovere di resistenza collettiva al
degrado delle città e delle campagne, alla razzia del paesaggio, all'esilio
della cultura e del lavoro, alla spoliazione dei diritti; è promuovere singole
azioni di contrasto agli atti dei poteri pubblici che vadano contro il pubblico
interesse.
Facciamo un esempio. La sentenza che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum è stata possibile grazie
all'azione promossa da un semplice cittadino – che lamentava di non aver potuto
esercitare il diritto di voto in modo libero e diretto come previsto dalla
Costituzione (per violazione degli artt. 48, secondo comma e 56 e 58 primo
comma) - che ha agito per un interesse collettivo, come sottolineato nella
sentenza della Corte Costituzionale.
Ma sono
numerosissime le sentenze in cui si dà conto di ciò. Si possono citare le sentenze
delle Sezioni unite della Corte di cassazione del 2011, concernenti le Valli di
pesca della laguna veneta, ecc., e si potrebbe continuare.
Ma non è quello
che qui interessa. Ciò che qui interessa è evidenziare che gli strumenti per
opporsi a tutto ciò ci sono. Non vi cito ora tutti gli articoli del
codice di procedura, o le leggi in questo senso, perché sono cose estremamente
tecniche e, per chi non è del settore, enormemente noiose. Qui basti sapere che
gli strumenti ci sono, che attivarli vuol dire riconquistare, in prima persona, un pieno
“diritto di cittadinanza”, in nome della “sovranità popolare”, della moralità e
della legalità costituzionale.
Ed i cittadini hanno il sacro
dovere di difendere lo Stato, perché, lo abbiamo visto, è inutile voltarsi
dall'altra parte, perché la verità è che se una situazione è giusta o sbagliata
la cosa, prima o poi, ci riguarda. E
guardate, esiste sempre una soglia, superata la quale, va preso atto che il nostro stesso agire o non agire, e non solo quello altrui,
ci minaccia (Luigi Zoja).
Se non ci attiviamo per difendere i nostri diritti
fondamentali, se accettiamo passivamente che continui questa macelleria sociale, come ebbe a scrivere
Keynes, negli anni ’30 del secolo scorso:
“la vendetta, oso predire, non tarderà”.
Ed attenzione, perché la violenza può divampare in tempi paurosamente brevi.
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